"Non dubitare che un gruppo di cittadini impegnati e consapevoli possa cambiare il mondo: in effetti è solo così che è sempre andata" (Margaret Mead)

giovedì 18 marzo 2010

Rita Dalla Chiesa, Mediaset e la mafia

Tra i tanti misteri italiani ce n'è uno, di certo non decisivo per le sorti della Nazione, ma che mi ha sempre tormentato, forse perché coinvolge la sfera profonda delle scelte personali: l'etica, l'onestà intellettuale, la coscienza interiore, la vanità, l'opportunismo.
Ma come è spiegabile che Rita Dalla Chiesa, la figlia del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa ucciso dalla mafia il 3 settembre 1982 a Palermo, possa accettare, senza vergogna e ripugnanza, di lavorare per un gruppo come Mediaset, sul cui fondatore, Silvio Berlusconi, unitamente ad uno dei suoi fondamentali collaboratori, Marcello Dell'Utri, da sempre gravano sospetti di collusioni mafiose?
Le accuse sono note e riguardano la provenienza oscura dei capitali che diedero origine alla Fininvest, i processi a carico di Dell'Utri fondatore di Publitalia, concessionaria della pubblicità e polmone finanziario del gruppo, condannato in primo grado a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, l'evocazione da parte di alcuni pentiti di un patto tra la mafia e Forza Italia, il partito fondato proprio da Dell'Utri e Silvio Berlusconi, sul quale sarebbe stati fondati gli equilibri di potere della seconda Repubblica, dopo le stragi del 1992 e 1993 che spazzarono le vite di Falcone, Borsellino, degli agenti delle loro scorte e di cittadini inermi ed innocenti.


Si tratta di accuse e sospetti su cui si potrebbe discutere all'infinito o che, nel caso di Dell'Utri e delle sconvolgenti rivelazioni dei pentiti Spatuzza e Ciancimino, devono ancora percorrere tutti i gradi previsti per i procedimenti penali e raggiungere una verità giudiziale ma restano comunque accertate le frequentazioni disinvolte di Dell'Utri, la cui creatura - Publitalia - paga in pratica lo stipendio di Rita Dalla Chiesa, e la presenza del boss mafioso Mangano, in seguito definito “un eroe”, nel ruolo sostanziale di responsabile della sicurezza della residenza e della famiglia di Silvio Berlusconi.

Non basterebbe una sola di quelle accuse, uno solo di quei sospetti, una sola di quelle frequentazioni, una sola di quelle affermazioni, per imporre a qualunque persona - che abbia il senso della propria dignità e che senta il dovere di rispondere agli imperativi della propria coscienza - di fuggire, nelle condizioni di Rita Dalla Chiesa, da qualunque impegno in un’azienda come Mediaset?
Chi non proverebbe orrore pensando che i soldi con cui si viene pagati, che la vanità televisiva a cui non si sa rinunciare, potrebbero essere macchiati, sia pure indirettamente e attraverso un percorso che parte da lontano nel tempo, dal sangue del proprio padre?

Tanto più quando non esistono, a quanto si può presumere, ragioni di sopravvivenza economica, che comunque non rappresenterebbero una valida giustificazione, né il perseguimento di nobili finalità etiche e culturali, trattandosi nel caso specifico, della conduzione di un insulso programma televisivo fondato su meschine e banali simulazioni di controversie legali.

Del resto non sono di molto più convincenti, pur acconsentendo di attribuirvi un minimo di fondamento logico, le ragioni (una casa editrice è patrimonio di tutta la cultura italiana a prescindere dalle contingenze politiche e proprietarie) che adduce Roberto Saviano, l’autore di Gomorra ed eroe della lotta alla Camorra, per giustificare il fatto di scrivere per una casa editrice come Mondadori, cioè Mediaset, cioè Berlusconi, del cui governo fa parte l’Onorevole Nicola Cosentino, sottosegretario all’economia, raggiunto da un ordine di cattura per concorso esterno in associazione camorristica e della cui maggioranza fa parte il Senatore Fazzone, il Ras di Fondi, il comune del Lazio per il quale il Prefetto di Latina aveva richiesto lo scioglimento per infiltrazioni mafiose.

Nella biografia del Generale Dalla Chiesa, che pure fu un personaggio controverso e sulla cui storia di servitore dello Stato permangono non poche zone oscure, è riportata una frase che non può lasciare indifferenti:

“[…] ci sono cose che non si fanno per coraggio. Si fanno per poter continuare a guardare serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei propri figli. C’è troppa gente onesta, tanta gente qualunque, che ha fiducia in me. Non posso deluderla. “ (Carlo Alberto Dalla Chiesa al figlio Nando).

Andrebbe forse estesa al dovere dei figli di rispettare la memoria dei propri genitori, al dovere di tutti noi di perseguire con coerenza le idee ed i valori che professiamo e di onorare e ripercorrere con coraggio e generosità il sacrificio dei nostri padri e dei nostri nonni che hanno lottato per affermare la Democrazia in Italia.

3 commenti:

  1. Vespasiano (la signora, non io)27 marzo 2011 alle ore 21:04

    pecunia non olet.....

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  2. non sempre i figli sono all'altezza dei padri. Rita dalla Chiesa caso emblematico, Aveva tanto bisogno di soldi..

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  3. Mi vergogni di essere italiana x soldi si venderebbe pure i cicli


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