"Non dubitare che un gruppo di cittadini impegnati e consapevoli possa cambiare il mondo: in effetti è solo così che è sempre andata" (Margaret Mead)

sabato 23 ottobre 2010

Il diritto alla vita a Terzigno

Strano Paese l'Italia, regno dell'ipocrisia e della menzogna.
In nome del diritto alla vita si diffondono giusti appelli per la salvezza di Sakineh condannata a morte in Iran.
In nome del diritto alla vita il Vaticano e la Chiesa cattolica esercitano tutta la forza di cui dispongono per propagandare la propria visione ideologica fondata sulla sacralità dell'esistenza umana fin dal concepimento imponendo cervellotiche norme, nella legge che regola la procreazione assistita, per preservare degli embrioni, per boicottare l'applicazione della legge per l'interruzione volontaria della maternità, per impedire la libera scelta degli individui sulla fine della propria storia umana.
In nome di una giustizia giusta criminali e corrotti blaterano di garantismo.
La nostra Costituzione sancisce il divieto della pena di morte ed il ripudio della guerra.
E poi lasciamo, la maggioranza degli italiani e degli organi di informazione lasciano, che scivolino sulle nostre coscienze le storie di tante persone condannate a morte nel nostro Paese senza colpe e senza sentenze. Sono le vittime quotidiane degli incidenti sul lavoro, sono coloro che si suicidano per la disperazione della perdita di un reddito o del fallimento delle proprie aziende, sono le persone che si tolgono la vita in carcere per le condizioni inumane a cui sono costrette, sono gli immigrati oggetto dei respingimenti verso i lager libici e da qui inviati verso la morte nei deserti africani, sono i poveri cristi – Cucchi, Bianzino, Aldrovandi – morti tra le mani di chi dovrebbe tutelare la legalità, sono i bimbi nati malformati e coloro che si ammalano senza speranza di guarigione, vittime della logica del profitto e dello sviluppo, vivendo accanto ad impianto petrolchimico, ad una centrale, ad una discarica, ad un poligono di tiro militare, sono le persone uccise in una guerra, quella in Afghanistan, che dura da nove anni, sono le persone non autosufficienti e le loro famiglie, se ne hanno, abbandonate al proprio terribile destino.
La vicenda dei rifiuti campani, che certo assume in quella regione connotazioni e caratteri particolarmente drammatici e dirompenti per l'influenza della camorra che ha fatto del business dei rifiuti una delle proprie principali fonti di arricchimento illecito, è emblematica di un Paese che non è più in grado, stretto nella morsa dei poteri criminali e di una classe politica e imprenditoriale imbelle e corrotta, di risolvere i problemi della gente e di progettare un futuro. Di ripensare ad una economia al servizio delle persone e non come mezzo per renderle schiave e annientarne l'esistenza. Di pianificare strategie e non prendere decisioni solo quando ci si trova di fronte ad emergenze che potevano e dovevano essere previste ma che deliberatamente si fanno esplodere per spianare la strada a nefasti appetiti (dopo Terzigno chi potrà più opporsi agli inceneritori?).
Non è solo questione di buon senso, perseguire strategie economiche e amministrative fondate sul bene comune presuppone scelte di valori, individuazione di interessi, bisogni e ceti sociali che si vogliono rappresentare, significa decidere se e come coinvolgere consapevolmente le popolazioni. Attuare quelle che sono le buone politiche di gestione dei rifiuti indicate dagli esperti (riduco, riciclo, riuso) cozza con interessi economici e criminali. Significa ripensare il sistema produttivo, abbandonare la follia dell'usa e getta e della crescita senza limiti, trasferire risorse dai consumi individuali a quelli collettivi, costruire beni che possano durare a lungo nel tempo e non che siano pianificati per essere gettati dopo pochi mesi.
Ma tutto ciò va contro la logica del capitalismo che in Italia assume un carattere ancora più feroce per il peso straordinario che qui hanno corruzione e criminalità organizzata.
Ed in fondo più sono i rifiuti che si producono, minore è la raccolta differenziata, più alcuni speculatori possono guadagnare, un tanto al chilo, con le discariche, con gli inceneritori.
La localizzazione di una discarica, di un inceneritore, di un impianto inquinante è la condanna a morte di intere comunità, la distruzione della loro possibilità e speranza di vita e dell'economia del territorio che abitano: non è l'interpretazione banale del NIMBY – lo so che è necessario, si faccia ma non nel mio cortile – che l'informazione e la politica compiacente e complice vogliono accreditare.
Persino Santoro dedica un'intera puntata, quella di giovedì 21 ottobre, ad un tema (la libertà di informazione e la Rai) che assume un carattere autoreferenziale se nel contempo si rinuncia, in uno dei pochi spazi liberi rimasti in televisione, ad un racconto alternativo dei fatti che stanno avvenendo (Terzigno, la crisi).
Si dovrebbe invece dire che ci sono cose (impianti inquinanti e pericolosi, centrali nucleari, discariche, inceneritori, grandi opere distruttive dell'ambiente) che non vanno fatte da nessuna parte perché sono contro l'esistenza degli esseri umani.
E i politici, gli amministratori, gli scienziati, i tecnici hanno il dovere di trovare soluzioni alternative e di mettere in pratica quelle che già esistono.
Per il diritto alla vita di tutti.

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