"Non dubitare che un gruppo di cittadini impegnati e consapevoli possa cambiare il mondo: in effetti è solo così che è sempre andata" (Margaret Mead)

domenica 31 ottobre 2010

Se Berlusconi si dimette, subito al voto!

Nell'eventualità, che in questi momenti sembra imminente, di dimissioni di Berlusconi, travolto ahimè non da una rivolta democratica, sociale e legalitaria ma dall'ennesimo scandalo sessuale e da una comprovata instabilità comportamentale che mette sempre più in imbarazzo chi l'ha sostenuto in passato, in primis ceti confindustriali e gerarchie vaticane, e lo rende indifendibile addirittura da parte della Lega, gli scenari possibili sembrano tre.
Prima ipotesi: immediato ricorso alle urne con Berlusconi alla guida del governo dimissionario.
Seconda ipotesi: un governo di scopo che faccia la riforma elettorale (anche se non si è ancora capito quale sarebbe quella che metterebbe d'accordo tutte le opposizioni, a parte il ripristino di una qualche forma di voto di preferenza per gli elettori nella scelta dei propri rappresentanti) e porti il Paese alle elezioni. Un governo che dovrebbe essere guidato da una personalità di garanzia, super partes, pur se è davvero arduo rintracciare una figura che risponda a questi requisiti nell'attuale panorama politico italiano, in particolare nel centro destra.
Terza ipotesi: un governo tecnico a cui sarebbe attribuito non solo il compito di modificare la legge elettorale ma anche quello di realizzare (si veda l'editoriale odierno di Scalfari) quelle riforme, istituzionali ed in campo economico, così gradite a Confindustria e a CISL e UIL, da ora fino alla fine della legislatura.


Nel primo caso verrebbe concesso un vantaggio intollerabile a Berlusconi per la possibilità di continuare a saturare il palinsesto televisivo.
Nel terzo scenario, vedremmo all'opera un governo che darebbe vita ad una politica antipopolare: quella della Tav, degli inceneritori, del nucleare, della conferma dell'impegno militare in Afghanistan, del risanamento finanziario a spese dei lavoratori, dell'abolizione del contratto nazionale. Un governo nel quale le istanze sociali della Cgil troverebbero posto a mala pena su di uno strapuntino attraverso la mediazione del proprio partito di riferimento, il PD.
E' un'ipotesi che ha tante più possibilità di realizzarsi se potesse contare su di un benevolo e interessato lasciapassare da parte della Lega, pronta a consolidare le proprie conquiste nel Granducato della Padania e magari a lasciare un fidato plenipotenziario, Tremonti, al Governo.
Sarebbe dunque, per le speranze di riforma sociale di questo Paese e della nascita di una vera alternativa di sistema, un doppio disastro: per l'attuazione di scelte inevitabilmente antipopolari in un Parlamento costituito al sessanta per cento da rappresentati della destra e perché concederebbe l'opportunità alla componente leghista-berlusconiana di rigenerarsi all'opposizione, gridare al ribaltone, addossare alla sinistra le colpe dei problemi del Paese e dei provvedimenti con cui tenterebbe di risolverli. Un'area reazionaria pronta a ricandidarsi alla guida del Governo (e a scegliere il prossimo Presidente della Repubblica) solo fra tre anni.
Un governo tecnico destinato a durare per il resto della legislatura è ahimè il vero progetto della triade D'Alema, Fini e Casini. Se fino ad ora non si è realizzato forse è solo perché non ha ancora raggiunto i numeri in Parlamento senza dover dipendere dall'appoggio determinante del partito di Di Pietro. La vicenda Ruby potrebbe convincere ulteriori pezzi del PDL ad abbandonare la nave che affonda e consentire la nascita di una maggioranza autosufficiente PD-Casini-Fini.
Al contrario, proprio con un Berlusconi alle corde per il crollo della propria credibilità morale che trascina con sè anche quella della Lega, ora sarebbe il momento più opportuno per andare alle urne con questa stessa legge elettorale (per introdurre il voto di preferenza e commissariare la Rai, per garantire una effettiva par conditio nella tv pubblica, servirebbero pochi giorni).
La divisione del centro destra tra due poli (Lega-PDL e UDC-FLI) e la ricompattazione della sinistra in nome dell'antiberlusconismo renderebbe possibile la vittoria, almeno alla Camera, dello schieramento imperniato sul PD. Tranquilli non nascerebbe alcun governo di sinistra né tanto meno un'alternativa di sistema: comunque vada, ribaltone o elezioni, maggioritario o proporzionale, le ragioni della governabilità e le direttive dei poteri forti porteranno alla nascita del governo di Fini, D'Alema e Casini.
Ma un conto è arrivarci con questo Parlamento, un altro conto è che si realizzi con una Camera in maggioranza (almeno sulla carta …) di sinistra e in cui tornino ad essere presenti i partiti eredi, FDS e SEL, della tradizione comunista che uniti alla radicalità di Di Pietro e magari del movimento di Grillo costituirebbero un ostacolo non trascurabile alle politiche antipopolari e in contrasto con i principi costituzionali.

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