"Non dubitare che un gruppo di cittadini impegnati e consapevoli possa cambiare il mondo: in effetti è solo così che è sempre andata" (Margaret Mead)

domenica 10 aprile 2011

Destra e sinistra: la stessa cosa?




'Cos'è la destra cos'è la sinistra' cantava Giorgio Gaber per ironizzare sul senso di appartenenza all'una o l'altra grande famiglia politica e sostanzialmente negarne le ragioni della contrapposizione (malignamente ho sempre pensato, grosso modo gli anni corrispondono, che quella canzone nascesse dalla necessità di esorcizzare la vergogna di vedere la propria compagna di vita, Ombretta Colli, passare con Berlusconi che – detto per inciso – è l'espressione peggiore, più becera e ripugnante della destra).
Oggi la domanda se destra e sinistra siano la stessa cosa è apparentemente paradossale se riferita all'Italia dove monta il disgusto e il ribrezzo per il capo del governo sostenuto dalle forze reazionarie e l'indegna corte che lo circonda. Un capo del governo la cui unica occupazione – tra un festino e l'altro, tra una barzelletta e l'altra in cui dà voce alla propria incultura sessista e razzista – è quella di curare i propri interessi personali e difendersi dai processi che lo riguardano a costo di mandare a carte quarantotto l'impianto costituzionale, la decenza delle istituzioni, la dignità dell'Italia.
Eppure così la pensano tanti elettori (e sarebbero tanti di più senza Berlusconi) che hanno scelto il non voto o di seguire nuove formazioni politiche (Grillo ma non solo) che proclamano il superamento di destra e sinistra e che rifiutano di schierarsi da una parte e dall'altra.
Voti e non voti che al momento delle nuove elezioni potrebbero risultare decisivi per la vittoria di Berlusconi o dei suoi avversari.

E certamente non è facile rispondere alle obiezioni di costoro quando segnalano i tratti comuni di destra e sinistra (dove poi la sinistra è impropriamente identificata fondamentalmente con le posizioni del Partito Democratico): la partecipazione ad azioni di guerra, l'attacco ai diritti del lavoro e la legittimazione del precariato (cui diede un forte contributo il centro sinistra con la legge Treu e proseguiti dalla destra con la legge Biagi), il disfacimento della scuola pubblica, la fede nella crescita illimitata (del PIL) da perseguire anche attraverso le grandi opere e in cui la difesa dell'ambiente e del territorio diventa un aspetto secondario, la deriva partitocratica, la trasformazione dei rappresentanti del popolo in una casta di privilegiati e l'occupazione dei posti di potere pubblici (le ASL, la Rai, gli Enti), la subordinazione al capitalismo finanziario, la supina acquiescenza ai diktat del Vaticano.
Per assurdo anzi, almeno nello scenario italiano, sembra che le uniche opposizioni al sistema economico globale, ovviamente solo a parole, vengano proprio dalla destra: con la denuncia della globalizzazione da parte della Lega, con le giaculatorie di Tremonti contro le Banche, contro le privatizzazioni e per una nuova IRI, con l'alleanza di Berlusconi con i paesi estranei all'impero amerikano (la Russia di Putin e la Libia di Gheddafi), con le perplessità e i dubbi sulla guerra in Libia.
Per i 'terzisti' la vittoria del centro sinistra è stata in passato una iattura (e lo sarebbe ancora in futuro) perché a fronte di una politica simile a quella della destra l'ha di fatto rivitalizzata e rivalorizzata resuscitando ogni volta un Berlusconi che sembrava finito.
L'omogeneizzazione di destra e sinistra d'altronde, nell'azione di governo e non nei valori che rimangono ben distinti, non è una caratteristica solo dell'Italietta, dove peraltro il problema si aggrava a causa del peso senza pari di mafie e corruzione, ma riguarda in realtà tutta la sinistra europea.
Come scrive Zygmunt Bauman la sinistra in Europa ha perso la sua identità e il suo ruolo, omologandosi quasi completamente alla destra, accettando la dittatura capitalistica e neoliberistica.
Ma chi indica il superamento di destra e sinistra come necessario per liberare il dibattito politico da un elemento fuorviante rispetto alle reali questioni in gioco da un lato sembra confondere tra ideali e obiettivi e chi rappresentando quegli ideali e obiettivi li ha traditi (e da questo punto di vista non si spiega perché sia necessario lasciare loro le nostre bandiere e i nostri simboli, un po' come se un cattolico dovesse abbandonare la propria fede a causa dei preti pedofili o di Monsignor Marcinkus), dall'altro dovrebbe dimostrare come sia possibile ragionare sulla cosa pubblica e il bene comune, riducendo la politica a mera amministrazione, senza valori di riferimento (eguaglianza e inclusione che si realizzano attraverso l'intervento pubblico verso prevalenza della libera iniziativa dell'individuo come mezzo del progresso collettivo dall'altro) oppure specificando quali siano i propri 'nuovi e diversi' valori.
Accantonando la riflessione su destra e sinistra che meriterebbe ben più ampio approfondimento forse è più opportuno ridurre il confronto tra berlusconiani e anti-berlusconiani.
Di fronte a Berlusconi e a tutto quello che rappresenta (l'attacco eversivo alla Costituzione, l'attentato alla divisione dei poteri, il degrado delle pubbliche istituzioni, il tentativo di annientare definitivamente la libertà di informazione) allora non è possibile e non sarebbe perdonabile una neutralità, si impone in ogni caso, pur nella consapevolezza che una volta fatto fuori resteranno i problemi reali e la scelta delle forme e dei modi con cui affrontarli, di votare gli 'altri'.
Berlusconiani e antiberlusconiani non sono la stessa cosa, anzitutto in termini di decenza pubblica e capacità professionale (D'Alema appare uno statista di fronte a Frattini e La Russa) ma anche rispetto alla vita concreta delle persone.
Quei temi che il centro sinistra agita per guadagnarsi il consenso elettorale - la lotta al precariato, la difesa del welfare, la valorizzazione della scuola e della cultura, la fedeltà alla Costituzione, il rispetto per l'ambiente e la legalità - per quanto possano essere traditi nell'effettiva azione di governo rappresentano in qualche modo una cambiale da onorare per continuare ad avere credito in futuro e impongono quantomeno un briciolo di pudore nell'adozione di provvedimenti impopolari.
E se di questo squallido e ipocrita teatrino della democrazia Berlusconi è a pieno titolo il capocomico, la sua uscita di scena avrebbe se non altro il merito di aiutare a riportare il confronto politico sulle grandi scelte che ci aspettano come Paese, di smascherare almeno in parte le effettive strategie degli attori in gioco.
Insomma, me ne rendo perfettamente conto, sempre e solo l'idea del male minore e la speranza che le componenti più radicali – dal punto di vista sociale e della legalità - della coalizione antiberlusconiana riescano ad avere un peso sufficiente (oltre che l'onestà e la capacità tattica) per orientarne a sinistra la politica, per colorare con un po' di rosso delle forze progressiste dalle tonalità inesorabilmente slavate.
So bene che per molti non è sufficiente ma sarebbero in grado di convincere della cosa, ad esempio, le decine di migliaia di precari espulsi dalla Gelmini dalla scuola e dall'Università pubblica?

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