"Non dubitare che un gruppo di cittadini impegnati e consapevoli possa cambiare il mondo: in effetti è solo così che è sempre andata" (Margaret Mead)

martedì 15 maggio 2012

Sei mesi di governo Monti



Sono trascorsi sei mesi dall'insediamento di Mario Monti alla Presidenza del Consiglio ed è passato abbastanza tempo per fare un bilancio ragionato dell'azione svolta dal suo governo nel quale possa prevalere l'analisi dei fatti più che le valutazioni o i pregiudizi ideologici.
Quando fu chiamato, a furor di poteri forti, alla guida dell'Esecutivo Monti deve essersi sentito una specie di Unto del Signore. La possibilità di applicare le proprie convinzioni e le proprie idee – politiche, economiche, sociali - avendo dalla propria parte i Grandi del mondo occidentale (Obama, Sarkozy, Merkel), le istituzioni finanziarie sovranazionali, il presidente Napolitano, la grande stampa italiana e internazionale, il consenso ampio dell'opinione pubblica italiana che, spesso anche dentro la sinistra radicale, tirava un sospiro di sollievo di fronte alla fine della vergogna del governo Berlusconi (e per quanto riguarda la qualità dei ministri, sarebbe bastato prendere una ventina di persone a caso per strada per trovare maggiore competenza e decoro di quella espressa dalla compagine di Lega e PDL), la benedizione del Vaticano, la fiducia del 90 per cento del parlamento con i partiti della sua maggioranza da un lato resi inoffensivi dalla perdita della propria credibilità e dall'altro ben contenti che ci fosse qualcun altro a fare il lavoro sporco 'chiesto dall'Europa'.
Una situazione che ricordava quello spot in cui si diceva “ti piace vincere facile”.
Quali sono i risultati (i fatti) dopo sei mesi di governo? I conti non sono stati messi in sicurezza se lo spread viaggia ormai da settimane intorno e oltre i quattrocento punti (e la riduzione rispetto ai tempi berlusconiani (532 punti il 9 novembre) è stata determinata solo dai miliardi di euro messi a disposizione all'uno per cento dalla BCE alle Banche per l'acquisto dei titoli degli Stati in crisi della zona euro) e il collasso dell'euro a partire da Grecia, Portogallo, Spagna per poi coinvolgere anche l'Italia appare un'ipotesi sempre meno improbabile, i compiti fatti a casa (le riforme (leggi macelleria sociale) e l'incremento delle tasse) non hanno in alcun modo attenuato la linea del rigore della Merkel e convinta ad intraprendere quell'azione (rendere la BCE prestatore di ultima istanza dei paesi euro) che sola potrebbe spuntare le unghie alla speculazione, il nostro Paese conosce una pressione fiscale mai vista in precedenza (e, in attesa che l'IMU si abbatta sui cittadini si studiano per le prossime settimane nuovi tagli allo Stato sociale (la spending review di Bondi) quale alternativa all'ulteriore incremento dell'IVA di due punti percentuali se non addirittura una manovra finanziaria aggiuntiva per riequilibrare i conti pubblici a seguito della riduzione del PIL), il costo della vita è aumentato in modo tragico per i ceti medi e bassi, l'economia è in piena recessione, il malessere sociale – dei lavoratori, dei disoccupati, dei precari, degli imprenditori, degli artigiani, dei pensionati, degli esodati - esplode.

“Il Paese è segnato da profonda tensione sociale” dice Monti. Forse pensava che ai cittadini massacrati dalla crisi e dalle sue politiche fossero sufficienti le promesse di una crescita futura e gli appelli e i moniti di Napolitano. E intanto deve prendere atto che i partiti della sua maggioranza che vedono mancare la terra sotto i piedi e crollare il consenso elettorale non lo sosterranno ancora a lungo.
Monti sta fallendo, ha fallito, fallirà per due motivi.
Primo, perché è portatore di quell'ideologia del libero mercato capitalista che ha condotto il mondo occidentale alla crisi che stiamo vivendo. Nel suo lessico, nella sua visione del mondo non hanno alcuno spazio temi e parole come quelli della riconversione ecologica, della decrescita, dei beni comuni, della qualità della vita, dell'eguaglianza. Il capitalismo di Stato, il modello vincente dei BRIC, è percepito alla stregua di una bestemmia.
Due sono le cose che interessano a Monti: la solvibilità del debito italiano (e questo è il motivo per cui è stato scelto dai grandi poteri finanziari per la guida del governo) e la competitività del nostro sistema economico (perché è convinto che solo attraverso questa via possano essere sanati gli squilibri tra i paesi aderenti all'euro e creata occupazione e ricchezza).
Non voglio pensare che Monti voglia sadicamente e deliberatamente distruggere e svendere il nostro Paese come qualcuno crede ma certo ritiene indispensabile lo shock della riduzione dei consumi, dei salari, dei diritti, di un impoverimento complessivo della società italiana per ridare slancio alla nostra economia.
Mi sembra un esercizio del tutto inutile, tra l'ingenuo e il patetico, sperare o credere che Monti possa convertirsi alle politiche keynesiane (e questo articolo di Krugman sembra scritto proprio per lui).
Secondo, la crisi italiana nasce come conseguenza della dittatura del capitalismo finanziario mondiale resa ancora più insostenibile dalle nostre classi dirigenti (politiche, economiche, intellettuali, nella pubblica amministrazione), dal loro peso parassitario, dalla loro inettitudine, incapacità, disonestà.
Ebbene Monti è nominato dai primi e governa grazie e attraverso i secondi. Dato per acclarato che di crescita finora non si è sentito nemmeno l'odore (ammesso che sia ancora qualcosa di auspicabile), come si poteva pensare che potesse realizzare equità e rigore (cioè far pagare i sacrifici ai ricchi e a chi si è arricchito a spese dello Stato e della collettività) in queste condizioni?
Si poteva pensare che Monti, un settantenne che fa parte di quella classe dirigente e che ha collaborato con molti di coloro che ci hanno condotto nel baratro (Cirino Pomicino solo per fare un nome), fosse il riformatore e il rinnovatore di cui avevamo bisogno?
Quanto durerà ancora questo governo? Sono evidentemente due i fattori determinanti: il contesto europeo e l'evoluzione dell'euro, avendo il nostro Paese ormai rinunciato a qualunque volontà di autonoma iniziativa; il momento nel quale i partiti della maggioranza riterranno più opportuno o almeno meno negativo per sé stessi andare alle elezioni.
Da questo punto di vista, posso sbagliarmi, mi sembra che il mantenimento dell'attuale legge elettorale e la conservazione della caricatura del bipolarismo che conosciamo sia oggi per loro l'ultima ancora di salvezza rimasta per limitare la possibilità del rafforzamento e della nascita di nuove proposte politiche.

Nessun commento:

Posta un commento