"Non dubitare che un gruppo di cittadini impegnati e consapevoli possa cambiare il mondo: in effetti è solo così che è sempre andata" (Margaret Mead)

sabato 21 settembre 2013

La democrazia e il valore dell'antiberlusconismo



La pacificazione nazionale vista da Luca Peruzzi

Se si tenta di redigere un bilancio, ancorché provvisorio, della ormai ventennale vicenda berlusconiana tre distinte decisioni giudiziarie intervenute negli ultimi mesi – la condanna in via definitiva per evasione fiscale, il deposito delle motivazioni della sentenza di condanna in appello di Marcello Dell'Utri, fondatore di Forza Italia, per concorso esterno in associazione mafiosa nelle quali viene di fatto individuato quale “mediatore” tra la mafia e Berlusconi, la quantificazione in via definitiva del risarcimento dovuto a De Benedetti per la vicenda del lodo Mondadori – costituiscono altrettanti elementi fondativi non solo di una verità giudiziaria ma soprattuto di una verità storica.
Il fatto che al protagonista indiscusso della vita politica italiana della Seconda Repubblica siano attribuiti o ricollegati fatti criminosi, ormai acclarati, di straordinaria gravità e intollerabili per chi è chiamato a gestire la cosa pubblica dimostra, se ancora fosse possibile qualche dubbio, che avevano ragione tutti coloro (e noi fra loro) che indicavano in Berlusconi una tragica ed inaccettabile ferita alla vita pubblica di questo Paese.
Per di più se la montagna di processi che hanno riguardato Berlusconi – e che solo i suoi lacché prezzolati e gli osservatori opportunisti possono definire un accanimento giudiziario – ha prodotto fin qui 'solo' queste sentenze di condanna è perché Berlusconi attraverso il suo potere politico, economico e mediatico è riuscito a porre in essere tali e tanti ostacoli alla loro conclusione da poter sfuggire in più occasioni, grazie alla prescrizione e a leggi ad personam, alle sanzioni penali e civili.
Pensare che alcuni abbiano avuto la stupidità di definire Berlusconi un geniale self-made man lascia interdetti e basiti.
Il tutto dentro al quadro di un mai risolto conflitto di interessi: Berlusconi ha potuto avere la disponibilità in anteprima di informazioni strategiche riservate – con il controllo dei servizi segreti, del ministero degli interni e della giustizia, attraverso la partecipazione ai consessi internazionali in cui si prendono decisioni che influenzano l'andamento dell'economia globale – 'potenzialmente' utilizzabili con i propri ingenti capitali per speculazioni di borsa e nel contempo la possibilità di far assumere dallo Stato italiano deliberazioni che avvantaggiassero le sue aziende ed i suoi sodali.

In qualunque Paese civile sarebbe stato sufficiente tale conflitto di interessi ed il coinvolgimento in uno solo degli scandali e degli episodi oscuri che hanno riguardato Berlusconi – dalla mai chiarita origine dei capitali con cui diede inizio alle proprie attività imprenditoriali all'assunzione di un boss mafioso per la protezione della propria famiglia, dalle modalità di acquisizione della Villa di Arcore alla corruzione di giudici per il lodo Mondadori, dagli aiuti politici ricevuti per fondare il suo monopolio televisivo alla corruzione di ufficiali della guardia di finanza da parte di dipendenti del suo gruppo, dall'aver utilizzato per conquistare il consenso elettorale personaggi accusati di rapporti e legami con mafia e camorra come Dell'Utri e Cosentino alla compravendita di parlamentari e testimoni (Mills), dall'aver ricompensato attraverso la cooptazione nelle cariche rappresentative e istituzionali i propri servitori personali e le donne che avevano accettato di entrare nelle sue 'grazie' fino al caso Ruby – per comportarne da subito la fine della carriera politica.
Se ciò non è avvenuto, se Berlusconi è stato colpevolmente tollerato dai più ed ha potuto godere di complicità, di connivenze, di un radicato consenso popolare, se la sua pratica politica ha potuto fondarsi sull'ostentazione della menzogna e di comportamenti immorali e non degni di chi è chiamato a rivestire una carica pubblica, sulla protervia di negare esplicitamente l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e sulle strizzate d'occho alla illegalità mafiosa e nel campo fiscale è perché ha trovato fertile terreno nella società italiana, nelle sue classi dirigenti, nei poteri forti che a partire dal Vaticano ne dominano le effettive dinamiche.
Ma Berlusconi è stato sì la sovrastruttura di una società malata ma tale sovrastruttura ha retroagito su di essa e contribuito a deformare e a corrompere il sistema di valori e la generalità dei comportamenti sociali condivisi.
Al punto che forse non è azzardato – in termini di guasti provocati alla democrazia e alla società italiana – paragonare il ventennio berlusconiano al ventennio fascista.
Alla luce di questo tacciare l'antiberlusconismo di essere stato solo un grande e sterile inganno è fuorviante e falso.
E' vero è esistito ed esiste un antiberlusconismo 'infantile' ed 'ingenuo' incapace di comprendere le ragioni profonde che ne hanno determinato la nascita e la sopravvivenza e fondato sull'idea che bastasse liberarsi di Berlusconi per risolvere i problemi italiani, è esistito ed esiste un antiberlusconismo che, come scrive Diego Fusaro, ha “permesso alla sinistra (a dire il vero ad una certa sinistra n.d.r.) di occultare la propria adesione supina al capitale dietro l’opposizione alla contraddizione falsamente identificata nella figura di un’unica persona” ed in cui “ingiustizia, miseria e storture d’ogni sorta hanno così cessato di essere intese per quello che effettivamente sono, ossia per fisiologici prodotti dell’ordo capitalistico, e hanno preso a essere concepite come conseguenze dell’agire irresponsabile di un singolo individuo.”
Ma è anche vero che non si può essere in Italia democratici e tanto più di Sinistra senza essere antiberlusconiani. Essere consapevolmente antiberlusconiani è condizione certo non sufficiente ma necessaria, è il 'minimo sindacale' di una etica pubblica, per poter credere nella democrazia e in una Sinistra, riprendendo il Berlinguer della questione morale, che voglia realizzare eguaglianza e giustizia sociale.
Se hai un ladro o un assassino in casa è evidentemente naturale l'accordo tra tutti coloro che vogliano resistergli e contrastarlo: se poi qualcuno di coloro che afferma di combatterlo (la dirigenza dei DS-PD) abbia utilizzato quella minaccia per scopi inconfessabili inciuciando nel contempo con il nemico ciò non significa che fosse sbagliato combattere il ladro o l'assassino ma che qualcuno ha tradito e per questo tradimento verrà condannato dalla storia.
C'è poi da riconoscere che l'involuzione di una certa sinistra riformista e socialdemocratica in senso liberista e centrista è avvenuto anche in quei Paesi (riguardando i laburisti inglesi, i socialdemocratici tedeschi, i socialisti francesi e spagnoli) dove non esisteva Berlusconi che ha rappresentato piuttosto per l'Italia solo un'aggravante rispetto alla deriva liberista del mondo occidentale.
E se alcuni hanno costruito il proprio successo professionale o politico sull'antiberlusconismo, pagandone spesso a dire il vero anche dei prezzi non trascurabili sul piano personale, non è perché hanno ingannato il popolo ma perché ciò rispondeva ad un sentimento incontestabile di una parte rilevantissima dell'opinione pubblica.
E' singolare ma non sorprendente che proprio nel momento in cui Berlusconi giunge al capolinea della propria storia pubblica venga sdoganato dai 'democratici' (il PD e Napolitano) quale esplicitamente indispensabile alleato e controparte politica. Perché l'esecuzione delle politiche liberiste della Troika e lo stravolgimento degli assetti costituzionali per compensare con l'autoritarismo la caduta verticale del consenso ai partiti di governo richiede l'alleanza con chi può ancora rappresentare e convogliare, almeno in larga parte, le pulsioni di quel “blocco sociale fautore delle prebende dello Stato, del lassismo in campo fiscale e contributivo, della precarizzazione del lavoro (Emiliano Brancaccio)”.
Comunque vada la questione dell'espulsione dal Senato di Berlusconi, cosa che sarebbe fuori discussione in qualunque Paese civile e democratico, il fatto inaccettabile è che, sotto la regia di Napolitano, il partito personale di Berlusconi e il partito che ne ha consentito l'ascesa e la sopravvivenza politica siano ancora alla guida del Paese di fronte ad una crisi economica senza precedenti e che per di più abbiano la protervia di progettare, senza alcuna autorità morale e senza alcun mandato popolare, di riscrivere la Costituzione nata dalla Resistenza.
La credibilità ed il prestigio delle Istituzioni si fondano, questo dovrebbe saperlo chiunque abbia onestà intellettuale e persino Napolitano e la Boldrini, non sull'adesione formalista alle regole e alle procedure, non su vuoti e retorici proclami ma sulla trasparenza ed il coraggio della verità.
Il coraggio della verità sta nel riconoscere che il partito personale di un evasore fiscale e amico di inquisiti per mafia e camorra non può avere responsabilità di governo, che l'austerità economica sta uccidendo l'Italia, che la Costituzione non può essere radicalmente modificata senza un esplicito mandato popolare e manomettendo persino le norme (art. 138) che ne regolano la revisione.

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